Omicidio del consenziente: suicidio medicalmente assistito e bene della vita

Omicidio del consenziente: morte medicalmente assistita e bene della vita

Omicidio del consenziente: morte medicalmente assistita e bene della vita.

Il delitto di omicidio del consenziente trova il suo fondamento normativo nell’art. 579 c.p.

Detta norma al primo comma sancisce che chiunque cagioni la morte di un uomo, con il consenso di lui, è punito con la pena della reclusione da sei a quindici anni.

Il bene giuridico tutelato dalla fattispecie de qua è da ravvisarsi nel bene della vita, anche contro la volontà del suo titolare.

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Il principio dell’indisponibilità della vita umana è un corollario della concezione personalistica che afferma il primato dell’uomo come valore in sé e quindi dell’uomo in quanto persona.

Tuttavia, tale principio ha subìto un’evoluzione, stante il diritto all’autodeterminazione nelle scelte terapeutiche.

La legge n°219 del 2017:

Si evidenzia, infatti, che con la legge n°219 del 2017 sono state introdotte nel nostro ordinamento giuridico le disposizioni anticipate di trattamento (DAT).

Ne discende che la non punibilità del medico va estesa oltre i confini di un consenso attuale legittimamente prestato dal paziente.

Può investire tutti quei casi in cui il rifiuto alle cure o l’interruzione dei trattamenti siano stati disposti anticipatamente proprio in virtù di un potenziale e successivo stato di incapacità. 

L’inammissibilità del referendum: 

In ordine alla fattispecie di omicidio del consenziente si registra una recente pronuncia della Corte Costituzionale.

La Consulta ha dichiarato la inammissibilità del referendum su tale fattispecie delittuosa.

E’, infatti, inammissibile la richiesta di referendum sulla abrogazione parziale dell’art. 579 c.p., atteso che, rendendo lecito l’omicidio di chiunque abbia prestato, a tal fine, un valido consenso, il bene della vita viene privato della tutela minima richiesta dalla Costituzione.

Il quesito referendario avrebbe reso penalmente lecita la condotta di uccisione di una persona con il consenso della stessa al di fuori dei tre casi di consenso invalido di cui al terzo comma dello stesso art. 579 c.p..

Così facendo, spiega la Corte, sarebbe stata sancita, contrariamente da quanto attualmente avviene, la piena disponibilità della vita da parte di chiunque sia in grado di prestare un valido consenso alla propria morte, senza alcun riferimento limitativo.

Detto in altri termini, la liceità sarebbe andata ben oltre i casi in cui la fine della vita è voluta dal consenziente prigioniero del suo corpo a causa di una malattia irreversibile, di dolori e di condizioni psicofisiche intollerabili.

La Corte ha rilevato che l’incriminazione dell’omicidio del consenziente mira a proteggere il diritto alla vita, soprattutto delle persone più deboli e vulnerabili di fronte a scelte estreme, collegate a situazioni di difficoltà e di sofferenza o anche soltanto non sufficientemente meditate.

Quando viene in rilievo il bene della vita umana, la libertà di autodeterminazione non può mai prevalere incondizionatamente sulle ragioni di tutela dello stesso bene.

Risulta sempre necessario un bilanciamento che assicuri una sua tutela minima.

Ne consegue perciò che la norma di cui all’art. 579 c.p. può essere modificata e sostituita dal legislatore ma non può essere abrogata, senza che ne risulti compromesso il livello minimo di tutela della vita umana richiesto dalla Costituzione.

I requisiti del consenso della vittima:

L’elemento che qualifica tale fattispecie come speciale rispetto all’omicidio comune è rappresentato dalla presenza del consenso della vittima.

E’ quest’ultimo che attenua la colpevolezza, la capacità a delinquere e l’offensività del reo e giustifica la irrogazione di una pena meno grave.

Infatti, l’omicidio doloso di cui all’art. 575 c.p. offende il duplice bene della indisponibilità della vita e della libera volontà del soggetto.

Diversamente, la fattispecie in esame va a ledere solo il bene della indisponibilità della vita, trattandosi essenzialmente di un suicidio per mano altrui.

Al fine di rilevare quale causa di giustificazione del reato, il consenso prestato dalla vittima deve possedere alcuni requisiti.

Deve essere personale, ossia prestato personalmente dal titolare del bene giuridico protetto.

Deve essere reale, ossia prestato seriamente ed inequivocabilmente.

E ancora, deve essere specifico, ossia avere ad oggetto proprio l’uccisione e non altri eventi.

Deve essere spontaneo, ossia non estorto e libero da vizi della volontà e da suggestione.

Nonostante l’equiparazione tra il consenso di cui all’art. 579 c.p. e quello di cui all’art. 51c.p., diversi sono gli effetti che allo stesso si ricollegano.

Difatti, il consenso di cui all’art. 579 c.p. appare inidoneo ad escludere l’antigiuridicità della condotta, riferendosi al bene della vita, reputato dall’ordinamento indisponibile anche da parte dello stesso titolare.

Si tratta di un delitto punibile a titolo di dolo generico.

Sono richieste, difatti, la volontà di cagionare la morte di un uomo e la consapevolezza dell’esistenza del consenso della vittima.

L’errore sulla esistenza del consenso:

Molto dibattuta è la questione relativa all’errore sulla esistenza del consenso.

Sull’argomento, la dottrina è divisa, registrandosi quattro diversi orientamenti.

Secondo un primo orientamento, l’erronea supposizione del consenso della vittima è riconducibile alla fattispecie di omicidio doloso ex art. 575 c.p..

Ciò in ragione del fatto che la norma sull’omicidio del consenziente richiede necessariamente la sussistenza di un duplice elemento specializzante.

Quello oggettivo, ossia il consenso della vittima.

Quello soggettivo, ossia la consapevolezza da parte del reo della esistenza di tale consenso.

Un altro orientamento ritiene applicabile la disciplina di cui all’art. 47, comma 2 c.p..

Tale norma, nel caso di errore sul fatto che costituisce un determinato reato, ossia la presenza del consenso, fa salva l’applicazione delle norme di un reato diverso, sussistendone i presupposti, ossia il più grave reato di omicidio doloso.

Un altro orientamento ritiene applicabile la disposizione di cui all’art. 83 c.p..

In forza di tale norma, il soggetto che cagioni un evento, ossia la morte del non consenziente, diverso da quello voluto, ossia la morte del consenziente, risponde a titolo di colpa dell’evento non voluto.

Infine, prevale l’orientamento secondo cui è applicabile la disciplina dell’errore sulle cause di giustificazione del reato di cui all’art. 59, comma 4 c.p..

Ciò in ragione del fatto che questa incriminazione riflette meglio l’atteggiamento psicologico del soggetto agente.

Diverso è, invece, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità.

La Corte di Cassazione ha, infatti, valorizzato il consenso della vittima quale elemento costitutivo del reato di cui all’art. 579 c.p..

Pertanto, ha affermato che laddove il colpevole incorra in errore sulla sussistenza del consenso della vittima debba trovare applicazione la disciplina di cui all’art. 47, comma 2 c.p..

Ne consegue che, qualora ne ricorrano i presupposti, il reo dovrà rispondere del più grave reato di omicidio volontario.

Innalzamento della pena:

Al terzo comma dell’art. 579 c.p. è previsto un innalzamento della pena al ricorrere di determinate circostanze aggravanti.

Precisamente, la pena è aumentata qualora:

1) il fatto sia commesso contro una persona minore degli anni diciotto;

2) il fatto sia commesso contro una persona inferma di mente o che si trovi in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze stupefacenti o alcoliche;

3) il fatto sia commesso contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, oppure sia stato carpito con inganno.

Si evidenzia che la deficienza psichica va tenuta distinta dalla infermità mentale, postulando una alterazione dello stato mentale meno grave ed aggressiva.

Può dipendere da particolari situazioni fisiche, quali l’età avanzata, la fragilità di carattere.

Può anche dipendere da anomalie dinamiche relazionali, idonee a determinare una incisiva menomazione delle facoltà intellettive e volitive.

E può anche inficiare il potere di autodeterminazione, di critica, di difesa del soggetto passivo dall’altrui opera di suggestione.

Si tratta di un reato procedibile d’ufficio.

La competenza è della Corte d’Assise.

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(Fonte immagine Chiesa Cattolica Italiana).