Delitto di maltrattamenti ai danni del minore

Delitto di maltrattamenti ai danni del minore

Delitto di maltrattamenti ai danni del minore.

Il secondo comma dell’art. 572 c.p. prevede un innalzamento della pena al ricorrere di determinate circostanze aggravanti.

Tra queste si segnala la commissione del fatto in presenza o in danno di una persona minore.

Integra il reato di cui all’art. 572 c.p., nell’ambito della condotta di maltrattamento di un coniuge nei confronti dell’altro, la posizione passiva dei figli minori.

E, precisamente, l’ipotesi in cui questi ultimi siano sistematici spettatori obbligati delle manifestazioni di violenza.

Può trattarsi di violenza non solo fisica ma anche psicologica.

Detto in altri termini, il delitto di maltrattamenti è sì configurabile nel caso in cui i comportamenti vessatori siano rivolti direttamente in danno dei figli minori.

Ma è ugualmente configurabile anche quando tali condotte li coinvolgano indirettamente come involontari spettatori delle liti tra i genitori che si svolgono all’interno delle mura domestiche.

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Da qui la sussistenza del reato di violenza assistita.

È necessario l’accertamento dell’abitualità delle condotte e la loro idoneità a cagionare uno stato di sofferenza psicofisica nei minori spettatori passivi dei maltrattamenti.

La condotta sanzionata penalmente dalla norma in esame comprende non solo la violenza fisica ma anche tutti gli atti di disprezzo e di offesa alla dignità della vittima che si risolvono in vere e proprie sofferenze morali.

Lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve essere necessariamente collegato a specifici comportamenti vessatori posti in essere verso un determinato soggetto passivo.

Può anche derivare dal clima instaurato all’interno di una comunità.

E ciò in conseguenza diretta di atti di sopraffazione, vessazione ed umiliazione.

La giurisprudenza, pertanto, ritiene integrato il reato di cui all’art. 572 c.p. anche nei confronti dei figli.

Ne discende che il minore è persona offesa dal reato.

Ció in aderenza a quanto prevede espressamente il quarto comma della norma de qua.

Il reato di violenza assistita postula la sussistenza di due requisiti.

Da un lato, occorre il carattere reiterato delle condotte di violenza.

Trattasi, infatti, di un reato di natura abituale.

Dall’altro, occorre la percezione da parte del minore del clima di oppressione, produttivo di effetti negativi sul suo processo di crescita morale e sociale.

Va precisato inoltre che la fattispecie delittuosa della violenza assistita va tenuta distinta dalla circostanza aggravante di cui all’art. 61, n°11 quinquies c.p..

Tale norma infatti contempla un aumento di pena qualora, nei delitti contro la vita e l’incolumità, il fatto sia commesso in presenza o in danno di un minore di anni diciotto.

E’ l’eventuale pregiudizio che il minore possa subire nel suo processo di crescita il tratto distintivo tra la fattispecie delittuosa della violenza assistita e la fattispecie circostanziata.

Pertanto, affinché possa trovare applicazione la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n°11 quinquies c.p. è sufficiente che il fatto venga commesso in un luogo in cui si trovi un minore che non sia in grado di percepire ed avere consapevolezza del carattere offensivo della condotta posta in essere da altri.

Diversamente, è configurabile il reato di violenza assistita qualora la condotta reiterata di maltrattamento abbia cagionato conseguenze pregiudizievoli nel processo di crescita morale e sociale e nello sviluppo psicofisico della personalità del minore.

Una volta acclarata la sussistenza del reato violenza assistita, il giudice disporrà l’applicazione della pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale ex art. 34 c.p.

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